Saturday 27 April 2024

Nihil sub sole novum, ovvero poveri content creator

Nihil sub sole novum, ovvero poveri content creator


Il content creator che tipo di lavoro è? È un lavoro?

Bisogna forse iniziare a interrogarsi soprattutto se sia una nuova tipologia di lavoro e se sia una variante di qualcosa di molto vecchio.

È ovviamente nuovo nel senso delle tecnologie che utilizza, delle modalità in cui si presenta e in cui viene fruito, ecc. Tutto ciò prima di internet, della tecnologia diffusa e a buon mercato e via dicendo non sarebbe certo stato possibile. Posto tuttavia tutto ciò, nelle forme astratte di realizzazione, è nuovo? Su questo ho i miei dubbi e credo che nella sostanza, a parte per i pochissimi fortunati nella percentuale globale di chi vi si cimenta, sia un lavoro assai sfruttato.

Innanzitutto, ovviamente, costa del tempo: bisogna imbastire delle sceneggiature, girare, editare, postare, promuovere, ecc. L’ingenuo senso comune è che lo si faccia nel “tempo libero”... Se tuttavia questa diventa l’attività che permette di portare la pagnotta a casa, l’illusione si dissipa immediatamente. Quanto “costa” questo tempo di lavoro? Per rispondere bisogna chiedersi: quanto e come si guadagna? 

Si guadagna dalla percentuale che le varie piattaforme concedono, dalle eventuali sottoscrizioni, dalle sponsorizzazioni. C’è un guadagno minimo garantito? Ovviamente no, tutto il rischio d’impresa è a carico del content creator. Questo guadagno copre di per sé spese previdenziali, sanitarie, ecc.? Ovviamente no, si tratta di microimprenditoria individuale. 

Se si vanno a fare questi conti, temo che in sostanza sia un lavoro a bassa remunerazione, senza oneri per il vero datore di lavoro, con tutti i rischi a carico del creator.

Sempre esclusi i pochissimi fortunati dal grandissimo successo, chi si arricchisce veramente? Chi è il vero datore di lavoro? Ovviamente le piattaforme. Eccoci arrivati al dunque.


Se le piattaforme dovessero pagare loro i content creator per riempire capillarmente tutti gli spazi con l’oceanica offerta di contenuti esistente, dovrebbero assumere milioni (o forse miliardi) di persone. Esiste una soluzione molto più profittevole. Trasformare in propri “dipendenti” milioni di privati senza pagarli, anzi facendo pure pensar loro di essere liberi imprenditori. È un po’ lo stesso meccanismo delle partite iva ma più sofisticato.

Milioni di persone che pensano di lavorare per sé, lavorano per la piattaforma che dà loro le briciole per un’attività che se esse gestissero in proprio costerebbe milioni di volte di più. Oltre al costo effettivo, le piattaforme non hanno così alcun vincolo contrattuale di qualsiasi natura e addirittura scaricano la responsabilità penale e civile dei contenuti sui “liberi” creatori. 

Il costo di produzione del contenuto è tutto sulle spalle del creator, il rischio di fallimento pure. Potrebbe quasi sembrare una riedizione dell’industria a domicilio, ma in realtà è ancora peggio, perché in quel caso c’è la commessa; qui invece si va a offrire il prodotto già realizzato sperando che piaccia. E il giudizio non
è dell’impresa stessa, ma del consenso che il contenuto riesce ad avere sul web. Così essa scarica anche la responsabilità editoriale, il quality check e chi più ne ha più ne metta.

Ma questa è imprenditoria e libero mercato, qualche ingenuo potrebbe commentare. Ovviamente no, perché il “mercato” è la piattaforma, vale a dire un’impresa che si arricchisce solo grazie a quei contenuti che dovrebbe altrimenti produrre in proprio e il cui costo e rischio scarica invece totalmente sui creators. Insomma, questi presunti “imprenditori” lavorano per la piattaforme, non sono affatto liberi. L’infrastruttura della loro “libertà” è di qualcuno, è un’impresa che li sfrutta nella maniera più bieca.

Quindi i sindacati dovrebbero iniziare a fare un po’ di contabilità a questi creators e cercare di far capir loro che sono salariati di fatto; e che sono salariati, nella maggioranza dei casi, a condizioni di merda.

I pochi che hanno successo servono ovviamente come specchietto per le allodole per i milioni che invece successo non ce l’hanno. È un po’ lo stesso meccanismo dei giochi a quiz per concorrenti di cultura medio-bassa o dei talent, dove il contenuto del programma lo fanno dei felici dipendenti non pagati col miraggio di vincere o diventare famosi. 


Se il meccanismo con cui nasce e in cui molti ancora lo percepiscono è quello dello “arrotondare” lo stipendio, la realtà è che è un lavoro sfruttato e sottopagato.

L’accesso è apparentemente gratis: basta un cellulare e una connessione, cose che ormai ha anche il più miserabile dei miserabili. Si va a pescare nell’amplissima sacca della disoccupazione incapace di trovare qualsiasi impiego; dunque ci si autoimpiega nella maniera più semplice e immediata. Si riesce a guadagnare qualcosa.

Se già così è un lavoro sfruttato, non appena diventa il proprio lavoro, siamo in tutto e per tutto nel classico meccanismo di sfruttamento capitalistico, mascherato di tecnologia e libertà


Thursday 18 April 2024

 

Anche sul canale youtube di Laboratorio Critico il video dell'incontro con Giorgio Cesarale sulla società civile hegeliana. Per chi se lo fosse perso!

Saturday 9 March 2024

Intervista con Gabriele Germani e Vadim Bottoni sul mio La logica del capitale.


 Intervista con Gabriele Germani e Vadim Bottoni sul mio La logica del capitale.

Riassuntone di alcuni dei miei cavalli di battaglia :D

R. Fineschi: rileggere Marx oggi. Dal podcast La grande imboscata


Sunday 18 February 2024

A proposito della crisi della cultura classica in Italia. Marxismo-foscolismo e capitalismo crepuscolare

 A proposito della crisi della cultura classica in Italia

Marxismo-foscolismo e capitalismo crepuscolare



Il buon vecchio Ugo Foscolo scrisse nel 1798 un sonetto contro il pronunciamento espresso dal Gran Consiglio Cisalpino nello stesso anno sulla sostituzione parziale dell’insegnamento della lingua latina con il francese. Apparso in origine nel tomo II del Parnasso Democratico, una raccolta di poesie repubblicane dei più celebri autori viventi, con il titolo All’Italia per la sentenza capitale contro la lingua latina proposta al Gran Consiglio, fu poi raccolto come III dei sonetti nell’edizione canonica di Odi e sonetti.

Il testo, con accenti drammatici e sarcastici, individua nella perdita del latino un colpo ferale alla cultura italiana e alla continuità del lascito storico classico incarnato proprio dal culto delle belle lettere in particolare in lingua latina. Lo pone pure in parallelo allo “imbastardimento” del fiorentino, lingua letteraria della tradizione, con il francese, alta evidenza dell’imbarbarimento, oltre che politico, civile e culturale. Questo il testo:


Te nudrice alle muse, ospite e Dea

Le barbariche genti che ti han doma

Nomavan tutte; e questo a noi pur fea

Lieve la varia, antiqua, infame soma.


Chè se i tuoi vizj, e gli anni, e sorte rea 5

Ti han morto il senno ed il valor di Roma,

In te viveva il gran dir che avvolgea

Regali allori alla servil tua chioma.


Or ardi, Italia, al tuo Genio ancor queste

Reliquie estreme di cotanto impero; 10

Anzi il Toscano tuo parlar celeste


Ognor più stempra nel sermon straniero,

Onde, più che di tua divisa veste,

Sia il vincitor di tua barbarie altero.


Seppure i barbari vittoriosi militarmente avevano reso plauso alla grande cultura latina lodandone la lingua, l’Italia contemporanea (sarcasticamente investita da un’invettiva di tono dantesco), pare voler rinunciare pure ad esso. In questo quadro il latino è “il gran dir” (v. 7). Non si tratta di un vuoto patriottismo nazionalistico, come potrebbe sembrare a una superficiale lettura, ma della rivendicazione dei grandi valori morali, estetici, civile della classicità e della traccia indelebile che essi hanno mantenuto nella storia civile e che non avrebbe senso sacrificare sull’altare di una modernità che di essi deve continuare a far tesoro. L’impianto classicistico dell’alta cultura italiana resisterà ben più a lungo di Foscolo e, come è noto, costituirà il cardine della riforma gentiliana tuttora ossatura, per quanto rivista e corretta in varie parti, del sistema scolastico nostrano.

A chi viene da letture marxiane, i fatti correnti non possono non richiamare alla mente la conclusione della cosiddetta introduzione ai Grundrisse in cui Marx si interroga sul peso culturale e sul piacere estetico che ancora al momento in cui scriveva (1857), i classici esercitavano sull’alta cultura. Egli stesso citava a menadito Omero, Orazio e via dicendo. La cultura classica non solo era percepita, ma costituiva uno dei pilastri della grande intellettualità occidentale. Per Marx ciò poneva un problema teorico: come è possibile che un’arte nata, cresciuta ed espressione di una realtà materiale assai meno sviluppata e complessa di quella capitalistica possa “parlare” allo spirito di individui nati in essa? È per lui una questione serissima perché, al di là di una dotta discussione sui canoni estetici delle diverse epoche, parrebbe mettere in discussione il nesso struttura/sovrastruttura. La risposta di Marx consiste nell’indicare nell’arte classica l’espressione artistica meglio compiuta della fanciullezza estetica dell’umanità che, per quanto non più corrispondente a quella dell’essere umano adulto, su di lui continua a esercitare un fascino imperituro. Parte del testo in questione:


Ma la difficoltà non sta nel comprendere che l’arte e l’epos greco sono legati a certe forme dello sviluppo sociale. La difficoltà è rappresentata dal fatto che essi continuano a suscitare in noi un godimento estetico e costituiscono … una norma e un modello inarrivabili …

Un uomo non può certo tornare fanciullo o altrimenti diviene puerile. Ma non si compiace forse dell’ingenuità del fanciullo e non deve aspirare egli stesso a riprodurne a un più alto livello la verità? … I greci sono fanciulli normali. Il fascino che la loro arte esercita su di noi non è in contraddizione con lo stadio sociale poco o nulla evoluto in cui essa maturò (K. Marx, Grundrisse, ed. Grillo, p. 40). 


Non vorrei che adesso mi si immaginasse sostenitore di un marxismo-foscolismo in nome della difesa del latino. La questione che emerge è invece se il ragionamento del nesso struttura-sovrastruttura regga al passaggio per cui quella eredità storica è sempre meno percepita come fondamentale, per cui essa non costituisce più il terreno comune delle élites culturali, che in sostanza non sia già più, nella pratica sociale, elemento costitutivo imprescindibile di un’alta cultura condivisa. Il calo di iscrizioni ai licei classici e scientifici tradizionali (a favore di quelli in cui non si insegna il latino) sembrano a cascata l’ultima spia di un processo in atto da tempo. 

La domanda non può che essere, a questo punto, relativa allo sviluppo stadiale del modo di produzione capitalistico, per cui si è forse entrati in una fase in cui l’apprezzamento della cultura umanistica nella sua forma più classica non corrisponde più non semplicemente alla percezione individuale, ma non rappresenta più il mondo ideale in cui les élites si riconoscono. La crisi dell’universalismo, la Repubblica delle lettere dei dotti che pur era un universalismo elitario ma in linea di principio raggiungibile da chi volesse salire quell’erta china del sapere, non costituisce più un orizzonte di senso. Se il capitalismo crepuscolare è l’epoca della negazione pratica e ideale dell’universalismo astratto, un tentativo di utilizzo perverso dell’universalismo delle Lettere potrebbe essere usare strumentalmente la cultura classica come evidenza di superiorità e quindi come legittimazione imperialistica (come tentò il fascismo). Oggi però, forse, il discorso è più complesso: la dimensione strumentale anche delle élites “funzionali” non richiede un livello più sofisticato della loro autocoscienza e quindi neppure una cultura universalistica che entrerebbe in contraddizione con la loro operatività ormai semi-meccanica. 


Thursday 28 December 2023

Ricapitolone di fine anno 2023

 

Ecco il consueto "ricapitolone" di fine anno ad uso degli interessati e di chi in questi giorni proprio non trovi di meglio da fare. Anno meno prolifico di altri, ma un qualche spazio per amenità varie è saltato fuori.

L’anno è iniziato con l’uscita della traduzione in castigliano del mio Un nuovo Marx:

1) Fineschi R (2023). Un nuevo Marx. BARCELLONA:El Viejo Topo, ISBN: 9788419200334

Sempre con respito internazionale, segnalo un articolo in inglese apparso su “Crisis and critique” in cui espongo le mie idee sul concetto di classe, forme e figure, ecc.

2) Fineschi R (2023). Marx's Class Theory 2.0. CRISIS AND CRITIQUE, vol. 10, p. 88-102, ISSN: 2311-5475

Infine, negli atti appena usciti, il mio intervento tenuto al convegno catanese per il bicentenario engelsiano:

3) Fineschi R (2023). Engels editore del Capitale. In: (a cura di): Borghese G., Sgro' G., Tinè S., Engels duecento anni dopo (1820-2020). NAPOLI:La Città del Sole, ISBN: 9788882925413

In seconda battuta, non per importanza ma per il tagio più pubblicistico, tre interventi su “La città futura” con riflessioni di vario tipo. Il primo sul cataclisma turistico e la camerierizzazione dell’italico popolo a uso di ricchi stranieri:

4) Camerieri a casa nostra! Ovvero: dell’italico destino

Il secondo sul rapporto tra mondi pre-moderni “digeriti” dentro la modernità capitalistica a partire da alcune riflessioni “amiatine”:

5) Sentieri amiatini. Classi subalterne e modernità

Infine, in occasione del centenario della nascita, un inizio di riflessione su Calvino e il suo marxismo, passato sotto traccia in molte interpretazioni, ma decisivo per comprenderne la prima fase della sua produzione e gli ulteriori sviluppi:

6) Calvino è stato marxista. In memoriam

E con questo è tutto. A tutte/i auguri di buone feste.

Tuesday 26 December 2023

Ricapitolone di fine anno 2023

 

Ecco il consueto "ricapitolone" di fine anno ad uso degli interessati e di chi in questi giorni proprio non trovi di meglio da fare. Anno meno prolifico di altri, ma un qualche spazio per amenità varie è saltato fuori.

L’anno è iniziato con l’uscita della traduzione in castigliano del mio Un nuovo Marx:

1) Fineschi R (2023). Un nuevo Marx. BARCELLONA:El Viejo Topo, ISBN: 9788419200334

Sempre con respito internazionale, segnalo un articolo in inglese apparso su “Crisis and critique” in cui espongo le mie idee sul concetto di classe, forme e figure, ecc.

2) Fineschi R (2023). Marx's Class Theory 2.0. CRISIS AND CRITIQUE, vol. 10, p. 88-102, ISSN: 2311-5475

Infine, negli atti appena usciti, il mio intervento tenuto al convegno catanese per il bicentenario engelsiano:

3) Fineschi R (2023). Engels editore del Capitale. In: (a cura di): Borghese G., Sgro' G., Tinè S., Engels duecento anni dopo (1820-2020). NAPOLI:La Città del Sole, ISBN: 9788882925413

In seconda battuta, non per importanza ma per il tagio più pubblicistico, tre interventi su “La città futura” con riflessioni di vario tipo. Il primo sul cataclisma turistico e la camerierizzazione dell’italico popolo a uso di ricchi stranieri:

4) Camerieri a casa nostra! Ovvero: dell’italico destino

Il secondo sul rapporto tra mondi pre-moderni “digeriti” dentro la modernità capitalistica a partire da alcune riflessioni “amiatine”:

5) Sentieri amiatini. Classi subalterne e modernità

Infine, in occasione del centenario della nascita, un inizio di riflessione su Calvino e il suo marxismo, passato sotto traccia in molte interpretazioni, ma decisivo per comprenderne la prima fase della sua produzione e gli ulteriori sviluppi:

6) Calvino è stato marxista. In memoriam

E con questo è tutto. A tutte/i auguri di buone feste.

Nihil sub sole novum, ovvero poveri content creator

Nihil sub sole novum, ovvero poveri content creator Il content creator che tipo di lavoro è? È un lavoro? Bisogna forse iniziare a interroga...